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Come in ogni tradizione popolare Sacro e Profano spesso si mischiano, dando luogo a leggende che si perdono nella notte dei tempi. Ad Eboli, alcune di queste, sono incentrate intorno la figura di San Berniero, nato nella Spagna settentrionale, nella cittadina di El Burgo de Osma, l’antica città di Uxameburg, detta anche Uxama, nella prima metà del X secolo (intorno all'anno 920) da una nobile e benestante famiglia visigota. Disprezzava la vanità del mondo e per questo volle condurre fin da fanciullo una vita austera e penitente. Lasciò tutti i suoi averi ed iniziò il suo pellegrinaggio per visitare i principali santuari d’Occidente e d’Oriente, in Europa ed in Italia. Con cappello a larga falda, bastone, fiaschetta e sandali ai piedi partì dalla Spagna e nel suo lungo peregrinare, portando in mezzo agli uomini la parola di Cristo, giunse ad Eboli dove andò ad occupare, da eremita ed in assoluta povertà, una piccola cella sotto il piazzale del convento di San Pietro alli Marmi. Si innamorò di questo luogo e decise di stabilirvisi. Pur non appartenendo ad alcun ordine religioso servì la Chiesa aiutando i monaci nel beneficare i poveri ed i sofferenti. La grotta divenne ben presto mèta di pellegrinaggio e qui le persone venivano a chiedere a Berniero lumi spirituali e aiuti nelle difficoltà della vita. Elemosinava il cibo di porta in porta e l’eccedente lo donava ai poveri, non disdegnando di aiutare i frati benedettini nei lavori di ristrutturazione del convento. Per aiutare un povero, non potendo lavorare di domenica, in quanto giorno del Signore, compì il miracolo di far cuocere del pane senza aiuto del fuoco e della legna. A Eboli spese tutti i suoi giorni al servizio di Dio e dei poveri, prestando la sua opera anche a favore dei contadini della Piana del Sele. La tradizione racconta che prese parte alla costruzione del ponte sul fiume Sele facendolo costruire così saldamente da resistere miracolosamente a tutti gli urti. Inoltre si adoperò per la costruzione della Badia, confondendosi con i muratori e i marmolari, dando prova della sua qualità di costruttore e donando la sua opera morale e materiale. Morì a Eboli in data imprecisata ed in quel momento, la leggenda vuole, fu adagiato nella sua cella e avvenne il prodigio "Oleum congelatum diu et incessanter rudendavit", noto come il Miracolo dell'Olio: l’olio che nei giorni precedenti, per il freddo, si era ghiacciato, incessantemente si riversò dalle giare che erano poste nel trappeto del monastero dei Benedettini, tanto da riversarsi anche sulla strada, al punto che l'intera popolazione potette farne scorta. Contemporaneamente si diffuse nell’aria un soave profumo proveniente dal corpo del Santo e le campane cominciarono a suonare da sole. Il 16 ottobre 1554 vennero ritrovate le spoglie di San Berniero ed in quel preciso istante, dopo mesi di siccità, cominciò lungamente a piovere. Gli Ebolitani lo elevarono a loro patrono (con San Vito), invocandolo per le malattie spirituali e le possessioni demoniache. Attualmente nella cella, dove la tradizione indica abbia dimorato il santo, esiste ancora un affresco che lo raffigura moribondo, con un crocifisso ed una pergamena tra le mani, con accanto il bastone del pellegrino, attorniato da angeli. Nella parte sottostante la chiesa di San Pietro Apostolo è collocata, invece, la cripta che contiene, tra l’altro, un piccolo altare ai piedi del quale sono conservate le reliquie di San Berniero. La festività ricorre il 20 novembre e al Santo è stata dedicata la chiesa del Sacro Cuore in zona Pescara mentre l'antica chiesa è collocata in località Aversana, ma attualmente non è aperta al culto.

Da un "Passio" leggendario del VII secolo, sappiamo che San Vito nacque a Mazara del Vallo in una ricca famiglia e rimasto orfano della madre, fu affidato alla una nutrice Crescenzia e poi al pedagogo Modesto che, essendo cristiani, lo convertirono alla loro fede. Aveva sui sette anni, quando cominciò a fare prodigi, e quando nel 303 scoppiò in tutto l’impero romano la persecuzione di Diocleziano contro i cristiani, Vito era già molto noto nella zona di Mazara. Il padre, non riuscendo a farlo abiurare, si crede che Vito fosse ormai adolescente, lo denunziò al preside Valeriano, che ordinò di arrestarlo; il preside Valeriano con minacce e lusinghe, tentò di farlo abiurare, anche con l’aiuto degli accorati appelli del padre, ma senza riuscirci; il ragazzo aveva come sostegno, con il loro esempio di coraggio e fedeltà a Cristo, la nutrice Crescenzia e il maestro Modesto, anche loro arrestati. Visto l’inutilità dell’arresto, il preside lo rimandò a casa; allora il padre tentò di farlo sedurre da alcune donne compiacenti, ma Vito fu incorruttibile e quando Valeriano stava per farlo arrestare di nuovo, un angelo apparve a Modesto, ordinandogli di partire su una barca con il ragazzo e la nutrice. Durante il viaggio per mare, un’aquila portò loro acqua e cibo, finché sbarcarono alla foce del fiume Sele, inoltrandosi poi in Lucania (antico nome della Basilicata). Vito continuò ad operare miracoli tanto da essere considerato un vero e proprio taumaturgo, testimoniando insieme ai due suoi accompagnatori, la sua fede con la parola e con i prodigi, finché non venne rintracciato dai soldati di Diocleziano, che lo condussero a Roma dall’imperatore, il quale saputo della fama di guaritore del ragazzo, l’aveva fatto cercare per mostrargli il figlio coetaneo di Vito, ammalato di epilessia, malattia che all’epoca era molto impressionante, tale da considerare l’ammalato un indemoniato. Vito guarì il ragazzo e come ricompensa Diocleziano ordinò di torturarlo, perché si rifiutò di sacrificare agli dei; qui si inserisce la parte leggendaria della ‘Passio’ che poi non è dissimile nella sostanza, da quelle di altri martiri del tempo. Venne immerso in un calderone di pece bollente, da cui ne uscì illeso; poi lo gettarono fra i leoni che invece di assalirlo, diventarono improvvisamente mansueti e gli leccarono i piedi. Continua la leggenda, che i torturatori non si arresero e appesero Vito, Modesto e Crescenzia ad un cavalletto, ma mentre le loro ossa venivano straziate, la terra cominciò a tremare e gli idoli caddero a terra; lo stesso Diocleziano fuggì spaventato. Comparvero degli angeli che li liberarono e li trasportarono presso la foce del fiume Sele, dove essi, ormai sfiniti dalle torture subite, morirono il 15 giugno 303.

Non si è riusciti a definire bene l’età di Vito quando morì: alcuni studiosi dicono 12 anni, altri 15 ed altri ancora 17. Nel luogo dove secondo la tradizione furono traslate e sepolte le spoglie del Santo, con quelle di Crescenzia e Modesto, sorge la Chiesa di San Vito al Sele; il luogo era detto anche "Alecterius Locus" cioè "luogo del gallo bianco". E' Patrono di Eboli (il 15 Giugno è il giorno della festa patronale) e della vicina città di Capaccio, nella cui chiesa di S. Pietro è custodita una reliquia del Santo. Il santo è anche patrono di Recanati e nella sola Italia, ben 11 Comuni portano il suo nome. Il suo culto si diffuse in tutta la Cristianità. Colpiva soprattutto la giovane età del martire e le sue doti taumaturgiche: è invocato contro l’epilessia, una malattia nervosa che determina movimenti incontrollabili, per questo detta pure "ballo di San Vito". Viene inoltre invocato contro il bisogno eccessivo di sonno e la catalessi, ma anche contro l’insonnia, i morsi dei cani rabbiosi e l’ossessione demoniaca. Protegge i muti, i sordi e singolarmente anche i ballerini, per la somiglianza nella gestualità agli epilettici. Per il grande calderone in cui fu immerso, è anche patrono dei calderai, ramai e bottai.

Il popolo ebolitano è da sempre molto devoto ai SS. Cosma e Damiano, il cui culto fu portato da una colonia di origine greca insediatasi intorno all'anno 1000 ad Eboli, ove vi costruì la prima chiesetta dedicata ai Santi Medici. Tale chiesetta fu poi ricostruita sugli stessi ruderi ma dedicata a San Sebastiano, in quanto il culto per i SS. Cosma e Damiano si era ormai affievolito. Solo ai primi del '700, il culto verso i Santi Medici riprese e nel 1771 sorse la chiesetta, in stile barocco, piccola ma dignitosa, ove sono stati onorati i Santi per oltre un secolo e mezzo, fino al 1957, anno in cui fu aperto al culto il nuovo Santuario. Dopo il secondo conflitto mondiale, infatti, avendo constatato che la chiesetta non era più capace di ospitare la folla di fedeli, che a migliaia vi si recavano nel giorno della festa, il popolo ebolitano cominciò a costruire un nuovo e più grande luogo di preghiera. Tra il 1949 e il 1950 furono gettate le fondamenta su un suolo donato dall'amministrazione per la costruzione del nuovo santuario. Il materiale utilizzato per la realizzazione dell'opera fu prelevato dalle macerie provocate dalla guerra. Sorse così un cantiere insolito: per la realizzazione dell'opera i fedeli si trasformarono infatti in operai e manovali. La festa religiosa è molto sentita e celebrata il 27 settembre di ogni anno, anche se il culto dei Santi viene da sempre venerato il 26 dello stesso mese: durante la nottata migliaia di pellegrini raggiungevano a piedi il santuario da varie parti della Piana; ai due Santi si rivolgevano soprattutto coloro che chiedevano la grazia per ottenere le guarigioni dei familiari ammalati e per questo, scalzi o addirittura in ginocchio, raggiungevano il Santuario che è collocato alla sommità di una salita molto ripida. Ancora oggi tanti pellegrini mantengono il più antico ex voto della Città, raggiungendo il Santuario scauz', vale a dire senza calzari.

Altro culto antico e molto sentito in Città è quello di Sant'Antonio, venerato nella Chiesa della S.S. Trinità, conosciuta come di S. Antonio da Padova, e che custodisce la miracolosa statua del Santo. A tale immagine è legato un evento prodigioso accaduto ad un membro della famiglia Marcangione che aveva prestato un ingente somma di denaro al guardiano della Chiesa. Il nobile, non ricevendo più indietro i soldi, pretese allora che la statua di Santo Patavino, fosse spostata nella sua cappella privata, che si trovava nella stessa chiesa, al lato destro dell’altare maggiore. Ma il Santo non approvò il trasferimento, e, durante la notte, apparve in sogno per ben tre volte, ed in modo minaccioso, ai coniugi Marcangione. Atterriti, la mattina successiva, essi si recarono dal padre guardiano, fecero spostare di nuovo la statua nella sua vecchia cappella e rimisero anche il debito ai frati del convento. Tale statua, denominata "Sant’Antonio di Penitenza", non è stata più rimossa dall’altare dove tuttora si trova, neanche per la tradizionale processione cittadina (13 Giugno), durante la quale viene portata per le vie di Eboli un’altra statua, detta di "Sant’Antonio in Gloria".

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