Autore: Pavanino da Palermo (documentato nel 1472)
Soggetto: Madonna con Bambino tra i Santi Eustachio e Caterina d’Alessandria (1472)
Tecnica e materiali: Dipinto su tavola
Collocazione originaria: chiesa di San Biagio e Sant'Eustachio, Eboli
Collocazione attuale: chiesa di San Francesco, Eboli
Soggetto: Madonna con Bambino tra i Santi Eustachio e Caterina d’Alessandria (1472)
Tecnica e materiali: Dipinto su tavola
Collocazione originaria: chiesa di San Biagio e Sant'Eustachio, Eboli
Collocazione attuale: chiesa di San Francesco, Eboli
La Madonna è seduta in trono, con il Bambino benedicente. Ai lati vi sono due santi: Eustachio e Caterina d’Alessandria. Il dipinto è tra i più significativi del Rinascimento nella Campania meridionale e certamente rappresenta un punto di riferimento per i modi pittorici che sono legati da un lato ancora all’esperienza gotica, con l’uso del fondo dorato, da un altro è pienamente rinascimentale, con il trono in prospettiva e il luminismo di matrice pierfrancescana.
Nella seconda metà del sec. XV, proveniente dalla Sicilia, è documentato un pittore che ha svolto la propria attività nel Salernitano, a Castellabate e a Eboli, e risulta aggiornato sugli esiti della cultura pittorica nel Mezzogiorno aragonese: Pavanino da Palermo o Palermitano. A Eboli, nella chiesa di S.Francesco si conserva, dal12 luglio 2014, un’opera di grande importanza per lo studio della pittura tardo quattrocentesca a Sud di Napoli: il trittico con “Madonna con Bambino tra i Santi Eustachio e Caterina d’Alessandria” proveniente dalla chiesa di S. Biagio a Eboli. L’opera, del 1472, fu trafugata dall’edificio sacro ebolitano nel 1990. Grazie a un’efficace indagine di ricerca, fu ritrovata dal Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC), in collaborazione con la Soprintendenza BSAE di Salerno e Avellino. Il trittico ebolitano di Pavanino Palermitano presenta al centro la Madonna seduta in trono con il Bambino benedicente, in piedi. Il trono è in marmo policromo, con gradone di base a pianta polilobata, secondo il gusto ancora gotico, ma è prospetticamente inquadrato nello spazio che lo contiene. E’ stilisticamente vicino a quello con analoga Madonna nel trittico del monastero salernitano di S. Maria della Piantanova, opera del Maestro dell’Incoronazione di Eboli. Nell’opera del Pavanino, ai lati della Madonna, vi sono festanti angeli musicisti. Il manto della Madonna è di colore blu, con ricche decorazioni e bordi ricamati e dorati, la veste è rossa. Sul suo capo compare una vistosa e elegante corona d’oro. Il fondo del dipinto è ancora decorato a foglia d’oro, ma la luce che rischiara le figure è tipicamente rinascimentale e risente l’eco della pittura pierfrancescana; le superfici, abbastanza ampie, permettono meglio il diffondersi della luce. Ai lati della Madonna, in piedi su piedistalli marmorei a forma di bassi parallelepipedi, vi sono due santi: a sinistra vi è Sant’Eustachio; a destra S. Caterina d’Alessandria, i cui nomi sono incisi sul lato frontale della base su cui poggiano i loro piedi. Entrambi sono Martiri per la Fede e appartengono al gruppo dei quattordici Santi Ausiliatori, cioè quei santi invocati in casi particolari, soprattutto per guarire particolari malattie e per scampare da pericoli. S. Caterina è invocata contro le malattie della lingua, Sant’Eustachio contro i pericoli del fuoco. La prima è elegantemente vestita da principessa, con una bella corona aurea posta sul proprio capo; il secondo veste l’uniforme di ex soldato romano, nel dipinto compare con uno scudo di tipo orientaleggiante. Ai piedi della Madonna, a sinistra, sul bordo della pedana marmorea del trono, vi sono due piccole persone supplicanti in ginocchio. Ai piedi di S. Caterina vi è la figura inginocchiata e in preghiera di un uomo, che Carmine Giarla ritenne essere Angelo De Jacobucio, probabilmente il committente dell’opera. Il trittico ebolitano del Pavanino, nel complesso, è ancora abbastanza leggibile, grazie all’ultimo restauro. E’ una pagina significativa dell’arte sacra del sec. XV in terra ebolitana.
testo di Gerardo Pecci