Si parla sempre più spesso di cambiamenti climatici, del ruolo determinante che hanno i ghiacci polari nell’equilibrio della biosfera e gli imponderabili rischi che si stanno correndo a causa del loro costante ed inesorabile scioglimento. Da decenni scienziati di tutto il mondo monitorano lo spessore dei ghiacci, la composizione, il grado di inquinamento, fotografando lo stato di salute generale del nostro fragile pianeta. Ma non tutti sanno che in tutto questo gran lavoro c’è anche un po’ di Eboli.
Dopo secoli di vani tentativi, il primo volo dell’uomo sul tetto del mondo avvenne il 12 maggio 1926 (alle ore 1.30) ad opera di un pugno di coraggiosi pionieri, tra i quali il più grande esploratore di tutti i tempi – il norvegese Roald Amundsen - e, al comando dell’aeronave “Norge”, un ebolitano di sangue, l’allora colonnello Umberto Nobile (nato a Lauro da genitori ebolitani). Il timore di non riuscire ad arrivare lì dove nessun altro essere umano era giunto prima non arrestò la ferrea volontà di quegli uomini che, per amore dell’avventura e della conoscenza, ma anche per il preciso desiderio di portare il nome dell’Italia nel punto più alto della Terra, seppero mettere al servizio della scienza e della tecnica tutto il meglio del loro sapere, sopportando fatiche indicibili e sforzi sovrumani.
Il mondo intero tributò il massimo degli onori a questi intrepidi esploratori: Amundsen divenne l’eroe nazionale come anche il nostro Umberto Nobile che il Duce promosse al grado di generale.L’esito trionfale della spedizione, sia sotto l’aspetto scientifico che tecnico ed esplorativo, trasformò il comandante dell’aeronave Umberto Nobile in un EROE, di quelli che il regime fascista amava tanto creare: il genio italico che dava la sua dimostrazione di superiorità; il Cristoforo Colombo del XX secolo, come lo definì papa Pio XI. Entrò a far parte della Pontificia Accademia delle Scienze dove conobbe Guglielmo Marconi (un incontro che in seguito gli avrebbe salvato la vita).
Nei suoi numerosi viaggi propagandistici il 15 agosto del 1926 giunse anche nella sua amata Eboli, lì dove aveva trascorso gran parte della sua infanzia e giovinezza, e dove una folla osannante lo accolse come un grande eroe (negli archivi comunali sono conservati documenti e foto di grande suggestione): quel giorno venne inaugurata la via a lui dedicata. L’esperienza di trasvolo del Polo Nord venne ripetuta due anni dopo, pur contro il volere del regime, e al nuovo dirigibile venne dato il nome di “Italia”: se la prima spedizione era stata prettamente esplorativa (Amundsen aveva dimostrato che, a differenza dell’Antartide, al Polo Nord non esistevano terre emerse ma solo un immenso iceberg di ghiaccio galleggiante) il secondo viaggio avrebbe avuto finalità strettamente scientifiche. La cabina del dirigibile divenne così un piccolo laboratorio volante. Alle ore 0.24 del 24 maggio 1928 il dirigibile, con a bordo 16 persone oltre la cagnetta Titina, raggiunse la vetta del globo ma le pessime condizioni meteorologiche non permisero dei soffermi, come era stato previsto.
Invece di proseguire per l’Alaska, come era avvenuto nel primo viaggio, su suggerimento del meteorologo di bordo, si tentò di ritornare indietro ma una serie di eventi nefasti fece precipitare il dirigibile sui ghiacci causando la morte di alcuni di essi. Il fato volle che tra le attrezzature cadute sul pack vi fosse una piccola tenda (poi divenuta famosa come “Tenda rossa”), dei viveri ed una radio ad onde corte che Nobile aveva caricato a bordo su invito di Marconi. Dopo 48 tragici giorni sui ghiacci proprio grazie a quella radio e al tecnico Giuseppe Biagi, i superstiti vennero salvati dalla nave rompighiacci russa Krassin.
Durante i sorvoli e durante la permanenza sul pack, vennero comunque eseguiti una serie di rilevamenti scientifici che oggi sono alla base delle ricerche che si stanno effettuano al Polo nord. L’invidia degli ambienti militari e politici, il carattere di Nobile alquanto spigoloso e poco incline ai compromessi, l’involontaria competizione che aveva innescato con “i più pesanti dell’aria”, ossia gli aerei tanto cari al Ministro dell’Aeronautica Italo Balbo, trasformarono quel tragico evento in un’occasione per il regime di sbarazzarsi di quella figura tanto ingombrante. Venne istituita una Commissione d’Inchiesta che riconobbe nel comandante dell’aeronave generale Umberto Nobile come l’unico colpevole della tragedia (colpa resa ancora più grave dalla decisione di salvarsi per primo dopo l’arrivo dell’aviatore Lundborg, circostanza smentita dalle testimonianze dei superstiti e dagli atti). Convocato dal Duce per avere chiarimenti sui tragici avvenimenti, Nobile fece valere con forza le proprie ragioni, l’unico ad aver osato alzare la voce contro Mussolini. Abbandonò sdegnato l’Aeronautica e lasciò l’Italia per andare a lavorare all’estero, anche grazie ai buoni uffici del papa. Continuò a progettare dirigibili di nuova generazione che nulla avevano da invidiare ai più famosi Zeppellin tedeschi.
Solo dopo la caduta del fascismo Nobile rientrò in Italia e passò diversi anni a cercare di far valere le proprie ragioni fino ad essere riabilitato nei ranghi dell’Aeronautica, cosa che avvenne negli anni ‘60 grazie ad un’apposita Commissione. Tornò ad insegnare alla facoltà di Ingegneria di Napoli, a piazzale Tecchio, lì dove anni prima aveva fondato il Gabinetto di Costruzioni Aeronautiche oggi Dipartimento Aerospaziale. Entrò a far parte della Costituente come indipendente di sinistra, contribuendo a scrivere alcuni articoli della nostra Carta Costituzionale ma ben presto abbandonò la politica sentendola molto lontana dal concetto di “servire il popolo” che aveva sempre avuto. I suoi studi sui gas rarefatti ad alta quota vennero utilizzati dalla Nasa durante la fase preparatoria per la corsa allo Spazio. Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Roma, accanto alla seconda moglie, alla figlia Maria e ai nipoti Carla ed Umberto. Mantenne sempre vivi i rapporti con la città di Eboli dove aveva i suoi zii, cugini e nipoti. Di questa sua lunga vita, ricca di stimoli, Umberto Nobile scrisse diversi libri ma molti giovani studenti poterono ascoltarlo dalla sua viva voce quanto li ospitava a casa. Il suo immenso amore per gli animali lo trasmise alla figlia e ai nipoti. Morì a Roma il 30 luglio 1978 nella sua casa di via Montezebio. Oggi riposa nel cimitero monumentale del Flaminio.
Nel 2019, una giornata di studio dedicata al generale Nobile aprì la IV edizione della rassegna storico-culturale "Ebolitani Illustri", ideata da Weboli ed organizzata in collaborazione con il Comune di Eboli e l'alto patrocinio del Ministero della Cultura --> https://bit.ly/338d9kQ
Armando Voza