Vite, morti e miracoli (meno conosciuti) di Rocco Scotellaro
di Giuseppe Avigliano
Di Rocco Scotellaro mi interessano due cose: la passione civile e l’ispirazione letteraria. Come ogni persona, tuttavia, Rocco Scotellaro non è solo questo. Perché una persona non è riconducibile mai a due soli indirizzi, perché chi sfida la Storia, a maggior ragione, contempla in sé una pluralità di temi, azioni, interessi, idee, pratiche, relazioni, tormenti e fantasmi che non sono appuntabili sulle dita di una mano.
Questo articolo non parlerà di Scotellaro poeta. E nemmeno di Scotellaro politico. Cent’anni sono tanti. Lo spazio di un secolo offre una distanza ragguardevole per osservare una vita nei suoi risvolti meno indagati, al di fuori delle etichette – e degli aggettivi – che ci inventiamo per organizzare il mondo (e la memoria).
Nel 1953, un anno prima della sua morte, lo stesso Scotellaro scrive una lettera di presentazione che allega ad alcune poesie inviate a Luciano Erba per una pubblicazione. In poche righe Scotellaro racconta la sua vita e ci restituisce un rendiconto personale di tutte le sue battaglie.
«Sono nato il 1923, ho studiato giurisprudenza all’Università senza laurearmi, sono stato eletto due volte, nel 1946 e nel 1948, sindaco di Tricarico (Matera) che è il mio paese di nascita.
Arrestato e assolto con formula piena e perciò reintegrato funzione di Sindaco, mi sono dimesso dalla carica nel 1950 per poter lavorare qui dove mi occupo di sociologia rurale.
I miei sono gente poverissima: mio padre era calzolaio, mia madre ha fatto la sarta, la donna di campagna e di casa e ha scritto, scrive tuttora, le lettere per i parenti analfabeti degli emigrati in America.
Sono ancora oggi Presidente di un Ospedale a Tricarico (10.000 abitanti) sorto nel 1947, e funzionante con 40 letti, che è stato, secondo autorevoli attestazioni, un mirabile esempio della capacità autonoma e realizzatrice di un comune.
Politicamente ho fiducia che cessi la indegna e mortifera divisione del mondo perché l’umanità possa curarsi dei suoi mali: la povertà economica e il decadimento culturale».
Scotellaro figlio
È il figlio di un artigiano. Il padre Vincenzo aveva una bottega da calzolaio in Tricarico. La madre era casalinga e offriva in paese la sua abilità nel leggere e scrivere: una sorta di servizio civile non codificato, ma di fondamentale importanza in una società nella quale la stragrande maggioranza delle persone era analfabeta. Pienamente calato nel mondo rurale della Basilicata degli anni ’20 del secolo scorso, Rocco cresce tra contadini, pur non essendo la sua una famiglia di contadini. Ecco: questo primo scarto tra la condizione familiare e quella comunitaria, la sua elaborazione, l’immedesimazione nei tormenti della società contadina, la perfetta conoscenza delle fatiche e dei bisogni di quella società, è un primo inequivocabile punto fermo nella conoscenza dell’animo e della formazione del giovane Scotellaro. Non si vanterà mai di questa posizione di vantaggio (seppur minimo) nello scacchiere sociale, anzi, userà al meglio gli strumenti che ha a disposizione per poter farsi portavoce del mondo contadino. È questo il suo primo grande capolavoro.
Scotellaro studente
La formazione di Scotellaro disegna un itinerario frammentario. Dopo le scuole primarie prosegue i suoi studi in due Istituti religiosi (era la soluzione più economica per potergli garantire un percorso di studi). Dapprima andrà al convento di Sicignano degli Alburni, poi a Cava de Tirreni. Ancora giovanissimo si allontana dalla famiglia, non senza dolore, e risulta essere sempre tra gli studenti più bravi. Proseguirà a Matera e Potenza, per poi raggiungere la sorella maggiore a Trento. Cominciò poi l’Università a Roma, pagandosi gli studi grazie ad un lavoro di istitutore a Tivoli, che gli garantiva vitto, alloggio e uno stipendio minimo. Gli andava bene, pur non potendo frequentare tutti i corsi e nonostante la grande fatica di conciliare lavoro, studi e i frequenti viaggi per raggiungere l’Università. Gli anni successivisi studiò a Napoli, che dovette abbandonare subito a causa dei frequenti bombardamenti (intanto è iniziata la guerra), quindi passerà a Bari. Gli mancavano sei esami quando diventò sindaco.
Scotellaro carcerato
Per quarantacinque giorni Rocco Scotellaro rimane in carcere a seguito di un procedimento penale nato da una denuncia anonima, costruito politicamente da ex fascisti perfettamente reintegratesi nella nuova Repubblica e ancora più cinici e malevoli nel perseguimento dei propri biechi interessi. La struttura dell’accusa è talmente esile, priva di prove e inconsistente, che al momento dell’avviso del procedimento in corso Scotellaro non reagisce nemmeno, coinvolto nei mille impegni della sua carica di sindaco. E invece l’azione procede e lo porta in carcere. Sarà assolto in maniera completa, ma questa parentesi segnerà indelebilmente il suo animo.
Scotellaro costruttore dell’ospedale di Tricarico
Il più grande impegno di Scotellaro sindaco, la chiave di lettura della quale non si può fare a meno per giudicare il suo operato politico, riguarda senza dubbio un unico, grande, importantissimo progetto: la costruzione dell’Ospedale di Tricarico. Un’impresa ardua, per niente facile e visionaria. A guardarla oggi, cent’anni dopo, in un tempo nel quale i servizi per la cura sono sempre più tagliati e di difficile accesso, fu un’azione di grande civiltà e democrazia. Per raggiungere tale obiettivo Rocco riuscì a mediare fra le varie parti sociali, la politica, la chiesa, la popolazione, tessendo una rete nella quale si riuscì a collaborare tutti, mettendo a disposizione ciascuno il poco che aveva e realizzando così un’opera importantissima. Prima di allora, per potersi curare, le persone di Tricarico avrebbero dovuto raggiungere Matera, a dorso d’asino, con ore di tragitto da percorrere. Grazie al nuovo ospedale tutti ebbero accesso ad un’assistenza sanitaria. Per davvero.
E questo sì, fu un miracolo.