Architetto, nato ad Eboli nel 1795, è stato allievo del Niccolini, con cui lavorò all'ampliamento del Palazzo Reale (1824), divenendone in breve tempo il responsabile del restauro e decorazione architettonica degli interni. Nel 1837 Ferdinando II di Borbone gli affidò il compito di restaurare il Palazzo Reale alla Marina e, a partire dal 1839, di compiere alcuni lavori alla Reggia di Caserta, tra cui la realizzazione definitiva della sala del trono e la creazione di una "sedia volante" (una sorta di ascensore) all'interno della stessa. Lavorò alla realizzazione e restauro di numerose chiese storiche, palazzi nobiliari e giardini del regno borbonico, di cui fu il maggiore esponente del gusto neoclassico.
L'opera più impegnativa e complessa del Genovese riguarda la Reggia Napoletana: Ferdinando II di Borbone, dopo un primo sommario restauro generale del palazzo compiuto nel 1830, appena salito al trono, ed in seguito all'esteso incendio del 1837, volle procedere a un grandioso rifacimento della sede reale, che appariva come il risultato di una serie di casuali interventi di ampliamento della primitiva residenza vicereale, incompiuta opera di Domenico Fontana attuata nei primi anni del 600. L'idea di un'organica sistemazione della reggia secondo un piano generale di ampliamento era già stata formulata dall'architetto Antonio Niccolini nel decennio francese, i cui disegni progettuali sono conservati presso il Museo nazionale di San Martino. Il Genovese fu certamente influenzato dal progetto niccoliniano, per la soluzione volumetrica adottata, mentre risultò particolarmente attento al linguaggio di Fontana, riproponendo scansioni desunte dalla presenza seicentesca. Dopo numerosi studi, compiuti anche sulla base del progetto di Fontana e discussi con il sovrano, conferì al palazzo un aspetto unitario, sia operando la riconfigurazione volumetrica dell'impianto monumentale, sia adottando importanti soluzioni morfologiche nei cortili, nelle gallerie di disimpegno degli appartamenti, nei collegamenti verticali. L'intervento del Genovese fu più consistente nel braccio settecentesco (appartamenti della regina madre) devastato dall'incendio; notevole è, altresì, l'apporto nell'appartamento da festa, con la grande sala da ballo decorata da stucchi di danzatrici.


Ancora, va ascritto al Genovese il restauro della sede della zecca napoletana, fondata da Roberto d'Angiò, e ampliata in età vicereale (1681), con facciata dalle membrature in piperno. Nominato direttore dei lavori il 6 maggio 1846, il Genovese aggiunse un terzo piano a imitazione di quelli sottostanti, concluso da cornicione classico, inserendo il giglio borbonico nei capitelli corinzi della cappella posta nel cortile.
Agli episodi già ricordati va aggiunta - nella fase estrema degli anni Quaranta, seppure con talune labilità cronologiche - la produzione per la committenza privata: si ricordano palazzo Satriano alla riviera di Chiaia; palazzo Corigliano di Sangro, dei duchi di Vietri, in piazza S. Domenico Maggiore e palazzo Orsini di Gravina, edificio rinascimentale del conte Ricciardi.
Nel 1851 il Genovese divenne membro della Commissione di antichità e belle arti, carica che mantenne per tutta la vita, nonché, dall'agosto del 1852, direttore degli scavi di Pompei e - dal febbraio dell'anno seguente - socio corrispondente dell'Accademia ercolanese: al lui si deve il metodo di indagine stratigrafica negli scavi archeologici, che rivela un altro aspetto della sua personalità. Nel 1852 ricevette dal sovrano l'incarico della direzione dei lavori del Camposanto, opera dei suoi predecessori Maresca, Malesci e Cuciniello. Nonostante qualche intervento nel settore del restauro, come il disegno per il pavimento marmoreo della chiesa di S. Maria di Piedigrotta (1853), in questi anni il Genovese fu soprattutto impegnato come architetto commissario del Municipio di Napoli, con incarichi prevalentemente urbanistici: di notevole rilievo è il progetto (non realizzato) del traforo di collegamento tra Montesanto e Chiaia attraverso la collina di S. Martino e S. Elmo, che rientrava nei programmi di viabilità di Ferdinando II per risolvere il collegamento di aree urbane a ridosso delle colline e il progetto di bonifica dell'area a valle della via S. Maria di Costantinopoli, ove edifici di abitazione sostituirono le vicereali "fosse del grano" e dove si ubicò la sede dell'Accademia di belle arti. Nel 1857 ricevette altro importante riconoscimento con l'alta onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine di Francesco I, ma - di lì a poco - la caduta della dinastia borbonica incise sulla sua vita professionale e, dopo l'Unità d'Italia, si limitò a compiere quasi esclusivamente interventi di progettualità urbanistica, come quelli corrispondenti all'attuale via Pessina, prolungamento di via Toledo, sulla quale doveva sorgere il nuovo palazzo municipale. Appare evidente che la svolta unitaria dovette porlo in posizione marginale di fronte all'affermarsi degli altri architetti che impersonarono a Napoli la stagione dell'Eclettismo.
