C’è un treno che arriva, è partito da qualche stazione lontana del nord e in un tempo che non conosciamo. C’è un treno che attraversa il tempo e le stagioni, e che ora è fermo proprio qui, alla stazione ferroviaria. E poi c’è un passeggero che scende, si ferma sulla banchina ed alza lo sguardo verso il cartello su cui è scritto: Eboli.
È una scena che abbiamo visto, immaginato e sentito tante volte. Quel passeggero può avere il volto di Gian Maria Volontè, nel celebre film di Francesco Rosi, Cristo si è fermato a Eboli. Ma può avere anche il volto di ciascuno di noi, se per qualche minuto ci concediamo la possibilità di una passeggiata nel tempo.
Una città è fatta anche di segni e memorie, di echi che rimandano a giorni lontani, di eventi che hanno segnato gli anni e che lasciano tracce indelebili nelle strade e nelle persone, come in una archeologia silenziosa tutta da scoprire.
Se fossimo in un giorno di luglio del 1935, il nostro passeggero, incuriosito dal fervore dei cittadini che s’affrettano a raggiungere lo stadio, incapperebbe nel delirio fascista e forse in uno dei discorsi più emblematici di tutto quel vortice nero: il discorso del Me ne frego, pronunciato da Benito Mussolini, proprio lì, a pochi passi dalla stazione.
Allontaniamoci, direbbe il nostro passeggero. E ora sta già risalendo lungo il tragitto di Viale Amendola. Poche case, molta polvere, e il vento, tutto intorno, fa volare fogli di giornali. Ecco, ne prende uno: Il Giornale di Eboli. E poi un altro, Mondo Operaio. E un altro ancora, si intitola Rinascita, ma nel titolo compaiono solo le prime tre lettere – RIN…… come a indicare un processo in corso, una rinascita tutta da costruire –. È un vento bizzarro, che soffia da anni lontani e differenti e, tutte insieme, porge al visitatore pagine della vita intellettuale di questo posto, di Eboli.
Ma adesso sembra di sentire il trotto di un cavallo. Ci sporgiamo anche noi, col nostro viaggiatore, e vediamo un distinto signore, con guanti e cappello alla moda inglese, impeccabile nell’andatura: è Dino Philipson. È stato un deputato liberale negli anni venti, che in un primo momento aveva aderito al fascismo. Ora è qui, anche lui al confino, ma non ha mai perso il suo atteggiamento autoritario – anche il podestà ha un po’ timore di lui!
La città vive ancora nella parte antica, che in un rivolo di vichi e vicoletti porta fin su, al Municipio. Da qualche parte, sotto una finestra, si sentono voci. Il viaggiatore si sofferma: è in corso una riunione del Comitato di Liberazione Nazionale di Eboli. Ora al governo c’è Badoglio, ma l’Italia è ancora tutta da rifare. E in quella stanza – anche in quella stanza – la democrazia sta riprendendosi i suoi spazi.
Giuseppe Avigliano