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Il verde, molto più di un colore
Il verde, molto più di un colore
Venerdì, 01 Aprile 2022 00:00 - 01 Aprile 2022

Ti sei mai lasciato trasportare da un albero, ti sei mai reso conto di un albero tutto intero? Mettiti sotto un albero ed alza lo sguardo alla chioma, perditi tra i rami e tra le foglie, c’è un mondo che ci sfugge.

Cammino e non ci faccio caso, nel chiasso di cose e persone, nel rumore dei pensieri, il loro è un sussurro. Incessante però, continuo. Il loro esistere è il loro linguaggio più duraturo ed efficace. Ci sopravvivono con delicatezza.

Gli alberi sanno che in un conflitto con gli uomini, loro ne escono sconfitti, sempre. Eppure gli alberi e la città sono sempre in conflitto e alla lunga logora tutti. Forse è per questo motivo che ogni tanto qualcuno sbotta e mette mano alle lame per “vincere” i conflitti, per “azzerare” le chiome, per chiedere alla folla chi vuole liberare, l’albero o Barabba e la folla sceglie sempre…

Sapeste le radici, sapeste la meraviglia sotto i piedi, un intrico vivo ed efficace, pensateci un attimo, grazie alle radici, nel suolo scorre la linfa. E una comunità di esseri viventi alimentati dalla vita delle radici, la forza tenace delle radici che come robuste dita stringono il terreno senza farlo scappare via, radici recise ad ogni scavo, ad ogni piccola opera, rubando centimetri preziosi alla vita. Le radici per una comunità umana sono il tempo che è passato, la memoria e l’esperienza, la somma di vite vissute e di idee comunicate, per l’albero le radici non sono il passato, sono il presente che lega la pianta ad un luogo, alleanza indissolubile, e permette di elevarsi, fieramente. Più le radici sono rispettate, più il fusto e la chioma arrivano al cielo. 

Di asfalto le strade degli uomini, di chiome le strade degli alberi. Chiome che ondeggiano e si corteggiano elegantemente. In contatto evanescente, fateci caso, non invadenti con i vicini. Permettono però il passaggio della vita, di uccelli che si spostano e di insetti, di scoiattoli (ad avercene). La chioma è un prodigio e noi lo diamo per scontato, anzi no, non lo sappiamo che è un prodigio. Un ramo che si sdoppia, e si risdoppia e si allarga o si alza oppure si curva, e si riempie di foglie. Pur volendo non riusciremmo mai a realizzare una cosa che si avvicini alla meraviglia di una foglia. Aghiformi, palmate, carnose o spinose, un laboratorio. Guardate una foto dall’alto del centro urbano della città, vedreste le chiome padroni dell’aria, batuffoli verdi, brillanti rispetto ai colori sbiaditi ed artificiali dei palazzi, connessioni verdi che fanno viaggiare con l’immaginazione.

Ricordate le nervature delle foglie? Ebbene in ogni nervatura scorre la linfa che viene trasportata fino alla nervatura principale e condotta nel picciolo, poi nel ramo, poi nel fusto ed infine nelle radici. Un tubicino che lega una foglia ad una radichetta sottilissima. La radichetta assorbe acqua e sali minerali dal terreno e li invia alle foglie che compiono la meraviglia: prendono la materia “inanimata” e la trasformano in nutrimento per tutti. Già questo potrebbe bastare per farci sobbalzare ma la meraviglia si compie pienamente quando ci donano la vita sottoforma di ossigeno. Lo “scarto” delle piante è vita per noi. Si fa presto a dire che la Terra vive grazie all’energia che viene dal Sole sottoforma di raggi luminosi. Chi però riesce ad intrappolare questa energia sono le piante, la fissano con la fotosintesi e la rendono disponibile sottoforma di nutrimento per gli esseri viventi. Pensate che portento l’insalata. La frutta! Gli erbivori si nutrono di piante, i carnivori di erbivori, gli esseri umani di piante e animali che contengono soltanto l’energia del Sole che le piante hanno messo in circolo. Ad ogni passaggio però se ne perde un poco e per questo di fili d’erba e di foglie e di alberi ce ne sono miliardi, molto meno di erbivori e meno ancora di carnivori. Le piante sono efficienti costruttrici di vita. Fateci caso, gli erbivori, i carnivori e noi, ci nutriamo a discapito di un organismo o parti di esso che soccombe, le piante no, utilizzano l’anidride carbonica, l’acqua, il Sole e ci regalano i carboidrati, la cellulosa, il legno in genere e l’ossigeno (così per farla breve).

Quanta energia per crescere, un albero. Noi mangiamo più volte al giorno e siamo alti circa 170 cm, pesiamo quello che pesiamo. Gli alberi arrivano e superano i 100 metri (alcune sequoie) e pesano tonnellate anche, immaginate lo sforzo di produrre tutto il glucosio necessario. Una fabbrica verde che non inquina. Giganti che danzano nel vento – andate a vedere i platani di san Donato, mai potati e per questo sani e ben saldi, oppure gli eleganti canuti come i pioppi lungo le rive del Sele che con un vento leggero mostrano il ventre bianco delle foglie che riflette i raggi del Sole. Infine i tronchi e le branche che da essi si diramano, ogni specie con i propri colori e con le particolari rughe e scaglie e cortecce, che portano tutti i segni del tempo e della superficialità umana. Un albero è un organismo romantico. Non si muove, non si può sottrarre ai bruchi ed alle giraffe, si è evoluto in milioni di anni per sopravvivere immobile, al dono di sé. Al contrario degli animali, che possono scappare, non concentra gli organi vitali in un punto, il nostro cuore è nel petto, se viene colpito noi moriamo, loro hanno un cuore diffuso! Sono capaci di rigenerarsi, hanno delle cellule capaci di riprodurre una parte di sé stessi, non si “abbattono” gli alberi, sono il segno della rinascita perenne, della speranza del mondo nonostante tutto. Pensate dunque che dopo milioni di anni di evoluzione per essere quello che sono, dopo aver “inventato” la fotosintesi, dopo aver realizzato la rivoluzione ossidativa, cioè dopo aver riempito l’atmosfera di ossigeno, e dopo aver mantenuto miliardi di metri cubi di terreno, strappandoli all’erosione e dopo aver contribuito alla diminuzione della concentrazione di anidride carbonica abbassando così la temperatura della Terra, rendendola un posto favorevole all’esplosione della vita e dopo aver avuto tanti altri meriti… pensate che possa arrivare qualcuno che motosega in mano, cominci a squarciare rami e fusti con pratiche che vengono maldestramente chiamate “potatura” e che tali pratiche facciano bene agli alberi?

Abbiate l’ardire del volo e librandovi nel cielo, dalla stazione a san Cosimo e Damiano vedrete un corridoio verde brillante, formato dalle chiome dei platani che furono salvati dal capitozzo (andate a ricercare il significato di questa parola) che sono un inno alla vita, passando in alto sulla piazza della Repubblica resterete ammirati dalla potenza che sprigionano i fusti ed i rami dei lecci che sollevano chiome verde scuro, fitte fitte, piene di vivifiche ghiande. E planando verso la piana, al cimitero, troverete delle colonne verdi, cipressi monumentali, che sembrano prendere con le radici, le migliori energie di Eboli e portarle al cielo. Volando verso il mare, un bosco lussureggiante che dall’alto non farebbe mai presagire le miserie che si vivono sotto le loro chiome ma all’interno, si scorgono falde di acqua dolce affioranti tutto l’anno, che alimentano boschetti di pioppo bianco, salici, mirti ed agnocasto, oasi circondate da aghi di pino che formano lettiere soffici e profumate soprattutto dopo la pioggia.

E ritornando sulle nostre colline, grandi cuscini di mirto e lentisco ai limiti dei boschi di querce - tutti dalle foglie coriacee e verde scuro per resistere alle estati calde e secche-  che arrivano al Tufara e virano i toni, diventando il verde chiaro della vegetazione igrofila dell’Ermice, chiome più rade con foglie dalle lamine morbide e flessuose per la ricchezza di acqua. Poi in volo radente, seguendo il corso d’acqua, sfiorare le mura antiche della città che riparano i giardini storici che si affacciano sul Tufara fino al borgo, dove la mano pesante dell’uomo si rende visibile per la quasi assenza di verde o per le potature selvagge dei ligustri che li hanno portati alla morte o allo schianto. Qualche luce però si sta accendendo, ritornano i melograni ed i corbezzoli nel quartiere “dei leoni” sotto la piazza e fieri allori e dolci carrubi tra via Matteotti, viale Amendola e via Gonzaga, gli ornielli dalle ombre luminose con le foglie pennate sulla statale 19 ed i profumatissimi tigli nel rione Pescara. 

Alcuni di questi alberi, testimoniano vicende della città, sono manoscritti decifrabili solo per i curiosi, un inno alla lentezza: l’ultimo platano del viale della stazione che si affaccia su piazza Mustacchio, il primo platano che si incontra su salita Ripa, i due lecci monumentali vicino la fontanella in piazza ed un simbolo identitario della città, il Pino che nelle foto di inizio ‘900 già supera in altezza il tetto del Castello ed oggi misura 30 metri di altezza.  

Infine, volando, vi ritroverete a riflettere che “il verde è molto più di un colore”. 

Michele Biondi

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