



Con la vittoria della flotta cristiana, il fraticello torna finalmente nella sua cara città natia. Ma ad Eboli trova un'amara sorpresa: una disposizione del vicario generale cappuccino impone al frate di lasciare l'abito; è accusato, infatti, di aver ricevuto del denaro da portare alla sua famiglia e nel viaggio di ritorno di essere stato in compagnia di una donna di dubbia fama. Padre Roberto lascia l'abito e si rifugia presso i frati minori osservanti di S. Maria del Gesù a Napoli. Scrive, quindi, al vescovo di Malta, Mons. Domenico Cubelles, chiedendo di intervenire in suo favore al fine di attestare la sua condotta nell'isola. Puntuale arriva la risposta del vescovo maltese che, in una testimonianza deposta "medio suo iuramento", difende l'amico Fra Roberto, definendolo "un bon religioso et homo di buonissima vita et fama, senza mai haver dato scandalo alcuno dei fatti soi a persona nata e descrivendone lo spirito religioso che aveva manifestato durante tutto l'assedio e la sua importante opera di evangelizzazione e nel tenere gli esercizi spirituali per i Cavalieri di Malta"; inoltre afferma che il denaro dato al frate proveniva dalla curia ed era appena sufficiente al suo sostentamento. Anche il gran maestro di Malta, La Valette, fa sentire la sua voce, dichiarando che il frate ebolitano è stato un religioso integerrimo, distintosi non solo nella sua dottrina cristiana, ma anche lungo l'assedio dei Turchi, portando ai cavalieri conforto ed incitamento. Alla fine della sua testimonianza egli afferma: "La onde noi, mossi da tante sue buone operazioni, havemo voluto fargli senza altra istantia benignamente le presenti aciocha il tutto ad ognun un sia in ogni luogo et tempo manifesto et chiaro." Il buon nome di Padre Roberto è così salvo, ma egli non rientrerà mai più tra i Cappuccini.
Nel continuare la sua opera evangelizzatrice, nel 1568 fu inviato dai superiori a Mantova, città lombarda passata dallo stato comunale del medioevo allo stato signorile rinascimentale, retto dalla potente famiglia dei Gonzaga fin dal 1540, e governata dal duca Guglielmo insieme alla moglie Eleonora d'Asburgo, figlia dell'Imperatore Ferdinando I. Fra Roberto seppe entrare ben presto nelle grazie del Duca, ma visse in città un momento critico, col diffondersi di nuove culture e dottrine eretiche, luterane e calviniste che portano ben presto in città l'inquisitore domenicano, frate Camillo Campeggio, che senza il placito del Duca, fece arrestare, imprigionare e torturare cittadini di ogni ceto. Seguirono processi sommari, su sospetto o denuncia di anonimi delatori che, il più delle volte, infliggevano l'impiccagione. Di fronte a tali eccessi, Padre Roberto, con il suo carattere irruente ed impulsivo, nel febbraio del 1568, all'interno della chiesa di Santa Barbara, denunciò dal pergamo la crudeltà dell'Inquisizione definendo il Campeggio "Sognatore esemplare di eretici in una città sotto il dominio di un Duca curatissimo della religione" ed alla minaccia di non giudicare più l'operato degli inquisitori, dal pulpito della chiesa di San Domenico mostrò tutta la sua indignazione per l'operato inquisitorio anticristiano. La reazione fu immediata: fra Roberto venne arrestato a Piacenza il 6 marzo 1568 e su richiesta di papa Pio V fu condotto a Roma e chiuso nel carcere di Tor di Nona. A nulla valsero le proteste del duca Guglielmo per tentarne la scarcerazione; l'unica concessione gli risparmiò il carcere duro e fu rinchiuso in una piccola cella con un'apertura posta nel tetto. All'interrogatorio del 25 marzo 1569 si presentò firmandosi "fr. Robertus Novella de Ebulo Ordinis Fratrum Minorum de Observantia". Nel successivo processo del 1570 rincara la dose su Pio V, che aveva precedentemente accusato di simonia, e ritratta le sue accuse: evita la condanna al rogo ma trascorre quattro anni nel carcere del Santo Officio della rocca di Ostia; successivamente venne trasferito nel carcere dei Sant'Officio di Roma.
Il 29 aprile 1578, per intercessione del duca Guglielmo, riceve la grazie dal nuovo papa Gregorio XIII e si ritrova nel convento francescano di S. Maria di Aracoeli. Alla fine del 1580, il frate ottiene la libertà completa e, dopo dodici anni di carcere, ritorna nella sua Eboli, dove trova una situazione familiare drammatica: il padre morto, la madre vecchia e povera, la sorella nubile e poverissima ed il fratello Lucio disoccupato. Non gli resta che scrivere di nuovo al duca, chiedendogli di aiutare la sua famiglia e di trovare lavoro al fratello. Sono le ultime notizie di Padre Roberto: si presume che, ormai stanco e debole dopo tante traversie, anni di schiavitù e duro carcere, il frate si sia spento in Eboli.